Foto: ATP Umag
Vincitore di Wimbledon e membro della Tennis Hall of Fame, Goran Ivanišević ripercorre alcuni momenti interessanti della sua grande carriera.
Quando si tratta di Goran Ivanišević, niente è normale. Proprio come quando ha vinto il titolo di Wimbledon, in una delle finali più folli mai giocate e quando ormai nessuno ci sperava più, così la sua ammissione alla Hall of Fame è stata posticipata di un anno a causa della pandemia. Tuttavia, il 17 luglio 2021, Goran è stato introdotto tra gli immortali del tennis dal suo idolo d’infanzia, John McEnroe, tramite un collegamento video. E a soli pochi giorni di distanza dal 20° anniversario del grande avvenimento sportivo tenutosi presso l’All England Club. È d’obbligo citare un reporter della BBC che, dopo il titolo di Ivanišević riportato sull’erba londinese, esclamò con una punta di sollievo: “At last, he did it” (finalmente ce l’ha fatta, n.d.a.).
Vestito con disinvoltura, con una camicia bianca e un abito nero senza cravatta, quel sabato sera di luglio ha pronunciato un vero e proprio discorso alla Goran. Parole calde e spiritose, ma allo stesso tempo emotive e con un messaggio. Un discorso in cui ha ripercorso alcune tappe di un’affascinante carriera sportiva.
cola città come Spalato, in Croazia. Un viaggio che mi ha portato fino a qui, fino a Newport. Se sono riuscito ad arrivare alla Hall of Fame, cominciando da una piccola strada, allora tutti i ragazzi devono sapere che possono fare quello che vogliono: basta solo impegnarsi a fondo.
Ringrazio il comitato di Wimbledon per avermi invitato. Non so se abbiano fatto la scelta giusta o, forse, se ne siano già pentiti, ma, ad ogni modo, grazie ragazzi! Se non fosse stato per voi, non sarei mai arrivato fino a Newport. È stata, tutto sommato, una buona decisione. Una partita può cambiarti la vita, la carriera, insomma, tutto».
Era il 2001 quando, su invito, è entrato a far parte del suo torneo preferito. Senza alcuna aspettativa. Simile a un’ex star del cinema quando pensa, ormai, di essersi lasciata alle spalle i suoi giorni migliori. Ma qualcuno aveva piani diversi. La strada per le stelle è disseminata di buone intenzioni. Prima di arrivare a quella finale epica contro Patrick Rafter, se l’è dovuta vedere con Fredrik Jonsson, Carlos Moya, Andy Roddick, Greg Rusedski, Marat Safin e Tim Henman, disputando, con quest’ultimo, una semifinale di tre giorni che fece piangere l’intera Gran Bretagna. E poi è arrivato il People’s Monday: l’atmosfera era quella di uno stadio di calcio e Goran si apprestava a giocare la partita della vita. Il quarto tiro per il match è stato quello fortunato. L’australiano Patrick Rafter ha risposto al servizio tirando in rete. A quel punto, il tennista croato, che fino ad allora era il numero 125 della classifica ATP, è diventato il primo nella storia a vincere il più grande e importante torneo del mondo su invito.
«Probabilmente, mai più nessuno vincerà Wimbledon su invito e, a causa delle condizioni del tetto, non ci sarà mai più un’atmosfera di questo tipo. È stato pazzesco. Un mix tra un concerto rock e una partita di calcio. Rimango sempre stupito e sorpreso di quanto questo Wimbledon, anche adesso che sono passati 20 anni, abbia cambiato la vita delle persone e, nello specifico, abbia cambiato la mia vita».
Dove ti trovavi il 9 luglio del 2001? La maggior parte delle persone in Croazia risponde a questa domanda senza esitazione: eravamo a vedere Goran. Non a caso, una parte speciale del Suo intervento a Newport è stata dedicata proprio ai fan….
«È stato frustrante, triste, probabilmente molte persone hanno divorziato a causa mia. Ma una cosa è certa: è stato divertente tifare per me. Penso che sarò ricordato come Goran, un tennista interessante che non si è mai annoiato. Anch’io, ad un certo punto della mia carriera, non sapevo cosa sarebbe successo. Sì, avrei potuto essere un giocatore migliore, ma, chi lo sa, forse anche peggiore. Alcuni dicono che avrei potuto vincere più tornei del Grande Slam. In linea di principio, sono affermazioni che mi trovano d’accordo, ma è anche vero che avrei potuto non vincere neanche Wimbledon».
Dopo aver provato a vincere Wimbledon in modo convenzionale, la cosa migliore che è riuscito a fare sono state tre sconfitte strazianti in finale contro Agassi e Sampras.
In quel famoso 2001, tra l’altro, era arrivato a Londra con una spalla ferita e problemi alla vista. Giocare con gli stessi calzini, guardare i Teletubbies e parcheggiare sempre nello stesso posto all’All England Club sono cose che fanno pensare a un manuale sui metodi speciali da adottare in caso di guerra. È così?